#2 DDLJ - Dilwale Dulhania Le Jayenge
Come una rom-com degli anni Novanta è diventata la più fedele rappresentazione della diaspora indiana, e il film più proiettato nella storia dell'India
Iniziamo da un aneddoto personale, come fanno gli ScrittoriVeriTM: quando qualche anno fa ho conosciuto quello che oggi è il mio cognato acquisito (che è cittadino indiano, cresciuto a Dubai e vive a Londra) mi ha parlato quasi subito del suo amore per Shah Rukh Khan e i suoi film, contagiandomi in tempo zero e facendo da scintilla all’esplorazione di una cinematografia che conoscevo pochissimo, che ha una produzione dai numeri paurosi (circa DUEMILA film all’anno) e una complessità di cui inizio solo ora a farmi un’idea. Non temete quindi: questa newsletter non diventerà un angolo solo per appassionati di cinema indiano, almeno non a breve.
C’è stata però un’altra cosa delle mie prime conversazioni con mio cognato che mi ha fulminata: il suo gran desiderio di visitare la Svizzera, cui è subito seguita la scoperta che non era una sua fissa personale ma che è una meta gettonatissima tra le persone indiane. Ora, sarà perché noi in Italia ce l’abbiamo come vicina di casa, saranno gli stereotipi “hanno solo soldi, cioccolata e orologi a cucù”, ma ho trovato curioso e divertente che persone che vivono in un paese enorme dalla bellezza incomparabile e dalla cultura millenaria fossero attratte da un paese che nella mia mente suonava come l’esatto opposto. Essendo la persona che sono, la prima cosa che ho fatto è stata googlare “why so many indians go to Switzerland” e mi si è aperto un mondo, scoprendo che esistono addirittura tour delle location svizzere dedicati specificamente al pubblico indiano. Salta fuori che la ragione del fascino suscitato dalla Svizzera sulle persone indiane si tende a spiegare prima di tutto con qualcosa che conosco bene: il cinema.
“Cut to a location in Switzerland”
In quasi tutto il cinema indiano, a partire dagli anni Sessanta e con una forte intensificazione dopo gli anni Ottanta con l’avvento della liberalizzazione economica e del New Hindi Cinema (anche detto New Bollywood), l’utilizzo delle location straniere è estremamente diffuso come dispositivo narrativo, che serve a comunicare in primis un grande investimento, che corrisponde alle ambizioni del film - sostanzialmente, uomini e donne elegantissimi e sari colorati e svolazzanti in ambientazioni vagamente esotiche la cui collocazione geografica è spesso slegata dalla trama del film. La scena serve a dare la sensazione di “altro”, ed è spesso una digressione sentimental-onirica e specie se è un numero musicale, ha la funzione di mostrarci desideri che i protagonisti non possono esprimere nella dimensione del reale.
Quel che mi ha sorpreso però è che tra le location esotiche ci fosse il paesaggio svizzero (o simil-svizzero), che invece ho scoperto essere stato un trope frequentissimo del cinema indiano, la cui popolarità iniziale è attribuita ai film di Yash Chopra, vera e propria leggenda del periodo classico che ha usato così tanto la Svizzera come ambientazione da essersi meritato persino un lago, soprannominato “Yash Chopra Lake” , con tanto di statua a lui dedicata dal governo locale. Il legame tra Svizzera e India ha perfino una pagina dedicata su Wikipedia.
Difficile dire dall’esterno cosa ci trovino di esotico gli indiani nella Svizzera (come capire perché usano così tanti acronimi per le loro star e per i titoli dei film, a parte il fatto di essere un paese multilingue), ma è certamente visualmente rappresentativa di una certa idea dell’Europa e della sua natura bella ma educata, ordinata, “civilizzata”, sicuramente idealizzata, ma tra i fattori c’è anche una presenza pervasiva della cultura tedesca in India (in particolare quella di lingua Hindustani) e viceversa - Nietzsche e Schopenhauer incorporarono idee Hindu nelle loro opere e addirittura Subhash Chandra Bose negli anni Trenta si espresse a favore di Hitler, sia perché nemico degli odiati inglesi sia perché il nazismo, con la sua appropriazione di elementi culturali Hindu come la svastica, il sistema delle caste e la retorica militarista della Bhagavad Gita, sembrava appunto essere, volendo dirlo con parole di oggi “culturally appreciative” nei confronti dell’India. Questo ovviamente vuol dire tutto e niente, perché è piena la storia di valutazioni miopi sul nazismo degli inizi, compresi i produttori (alcuni anche ebrei) di Hollywood che tolleravano la propaganda antisovietica e pro nazista nei loro film per preservare i legami commerciali con la Germania, questo ovviamente prima di Pearl Harbour. Sarebbe difficile basarsi solo su questi elementi storici per spiegare lo strano legame tra due paesi così diversi, ma si può dire che le montagne e i villaggi svizzeri siano arrivati, nella rappresentazione audiovisiva indiana, a simboleggiare una certa idea di paradiso bucolico che non a caso, è appunto l’ambientazione di tante scene d’amore.
Monti innevati e placidi sfondi boscosi sono quindi stati più che spesso location privilegiate dei film romantici, tra cui un film che rappresenta benissimo il New Hindi Cinema ma anche l’utilizzo innovativo di una location “esotica”: DDLJ - Dilwale Dulhania Le Jayenge (traducibile come "Il coraggioso prenderà la sposa"), commedia romantica del 1995 diretta da Aditya Chopra e prodotta da suo padre Yash (quello del Chopra Lake), con protagonista proprio Shah Rukh Khan insieme a Kajol e Amrish Puri, primo grande successo di SRK come protagonista romantico nel cinema indiano; un film in cui la Svizzera è non soltanto un’ambientazione da sogno, ma il teatro reale di un meet cute che non potrebbe avvenire altrove, in una dimensione di realtà diegetica.
Come si diceva, i film del subcontinente indiano tendono ad avere moltissime ambientazioni differenti non solo per sfoggiare i muscoli dell’investimento economico, ma anche perché sono film che durano minimo due ore e mezza, che quindi beneficiano molto dei cambi di setting per tenere alta l’attenzione di chi guarda. DDLJ non fa eccezione e usa la Svizzera sia come teatro di un road trip in cui, in mezzo a vari incidenti di percorso, i protagonisti si innamorano per poi andare ognuno per la loro strada, ma anche per la successiva canzone d’amore, Ho Gaya Hai Tujhko, in cui ormai separati si sognano l’un l’altra e si immaginano riuniti proprio in quel luogo, che diventa quasi un safe space lontano da convenzioni e tradizioni. La Svizzera in DDLJ è sia un ambiente romantico che favorisce la love story nella realtà diegetica, sia il luogo del cuore in cui i protagonisti si immaginano insieme nella canzone extradiegetica: è lo stesso meccanismo del finale di Sex and The City a Parigi, in cui la cosa più romantica che possa accadere a Carrie nella vita succede proprio nel posto più convenzionalmente romantico del mondo (per gli americani) - le romantic comedy usano espedienti narrativi estremamente comuni, che sono DAVVERO così immediatamente comprensibili che spesso valicano confini nazionali e culturali.
Pur non essendo neanche lontanamente il primo né l’unico film a usare ambientazioni all’estero quindi, DDLJ lo fa in maniera intenzionale e diegeticamente cruciale, stabilendo un precedente innovativo per il cinema indiano, in cui Mother India è di fatto la vera “ambientazione esotica” per due protagonisti NRI (non-resident indians): indiani, ma cresciuti in Europa. Anche per questo DDLJ si è fissato nella memoria collettiva in una maniera impossibile da paragonare a qualsiasi rom-com occidentale, diventando già nel 2000 il film più proiettato della storia del cinema indiano con il Mumbai's Maratha Mandir theatre che lo proietta da più di 27 anni, e persone che continuano a vederlo (e rivederlo) anche sulle emittenti TV asian in Gran Bretagna, settando nuovi record ogni anno.
Il dato britannico è importante, perché DDLJ è stato uno dei primi film che ha parlato proprio direttamente ai giovani NRI residenti a Londra, figli della diaspora indiana (ventenni di seconda e a volte, già negli anni Novanta, anche di terza generazione e oltre) che crescevano al di fuori dell'India cercando di rimanere fedeli ai suoi valori e alla sua sensibilità, rappresentando fedelmente l’esperienza di persone che si sentivano contemporaneamente europee e indiane.
“Here, an immigrant to London still holds tightly to his back home customs, his daughter tries to dutifully honor his wishes, while the boy tries to stick to those back home traditions though he deceitfully tries to win him over.” Roger Ebert
Molti dei trope già presenti in DDLJ sono rintracciabili anche in prodotti britannici (derivativi dal cinema indiano) quasi contemporanei al film, come Sognando Beckam, e attuali come Never Have I Ever (la comedy di Mindy Kaling, statunitense di origine Hindi, in cui John Hughes e Bollywood si fondono) o Ms. Marvel (in cui addirittura viene citata la venerazione della protagonista per SRK). In tutti questi prodotti la trama principale o una delle sotto trame spesso ha come oggetto la tensione tra una generazione di genitori per cui l’abbandono dell’India è stato un sacrificio e che sogna la patria lontana, e quella dei figli che invece vivono sia la tradizione che l’appartenenza nazionale con molto più distacco e si trovano a dover bilanciare le aspirazioni proprie e quelle della generazione precedente.
I protagonisti del film Raj Malhotra (Shah Rukh Khan) e Simran Singh (Kajol) rappresentano proprio gli spettri opposti di come si possono introiettare i valori indiani crescendo dall’altra parte del mondo, uno figlio di un liberal l’altra di una famiglia più conservatrice, entrambi alle prese con una patria di cui hanno sentito principalmente parlare dai genitori con nostalgia e rimpianto, ma che con le sue tradizioni incide profondamente sulle loro vite, tanto da ostacolare la loro unione perché Simran è già impegnata in un matrimonio combinato. La delicatezza e l’attenzione con cui viene trattato questo tema in DDLJ è probabilmente una delle ragioni del suo successo, ed è ancora più importante da analizzare per chi come noi è cresciuto fuori da quel contesto culturale, trattandosi di un tema che spesso in Europa tendiamo a rappresentare con stereotipi o a ridurre a un tema di emancipazione femminile quando è molto più complesso di così. Oggi, programmi come Indian Matchmaking su Netflix l’hanno reso mainstream, ma fino a pochissimo tempo fa questo strumento controverso, che serve la continuità dei valori tradizionali e stabilisce (anche a distanza di interi continenti) legami tra famiglie che per chi è di origine indiana sono preziosi sia da un punto di vista umano che economico, e a volte anche professionale, rappresentava un oggetto misterioso, spesso percepito dagli occidentali come un residuo antiquato di abitudini che dovevano scomparire perché le persone immigrate si “integrassero” nei paesi in cui vivevano.
Questo tema così coerente con l’esperienza di tanti indiani vissuti in UK (come mio cognato, il cui film preferito è proprio DDLJ) ma anche di tanti che sono rimasti in India, è una dimostrazione molto pratica dell’importanza della rappresentazione per le comunità della diaspora indiana (NRI e PIO come Mindy Kaling), che rappresenta un pubblico enorme di più di 35 milioni di persone (dati del 2021) e una delle maggiori fonti di guadagno per il cinema che chiamiamo Bollywood.
Mentre la reputazione di “Bollywood” sta iniziando a farsi strada in Italia tra i non appassionati o ricercatori anche grazie alla grande disponibilità di film indiani sulle piattaforme di streaming, il termine in sé (crasi di Bombay + Hollywood) suona sempre più riduttivo del reale impatto economico e culturale dell’industria, e nonostante sia stato inventato in India molte delle star indiane lo detestano, come avrete scoperto se avete visto The Romantics, il recente documentario Netflix sul cinema Hindi (che peraltro parla estesamente di DDLJ, tanto da avere uno dei fotogrammi del film come cover). Innanzitutto perché il cinema indiano ha molte industrie (ad esempio il cinema del West Bengal, soprannominato anche Tollywood) e inoltre, comprensibilmente, perché si tratta di una cinematografia con una storia e delle prerogative di produzione, narrazione e distribuzione indipendenti da quelle statunitensi, difficilmente riassumibili solo come “la Hollywood indiana”.
Mentre sempre più il cinema occidentale scopre il bacino di pubblico della diaspora indiana, cercando di interessarlo con una rappresentazione che usa i codici di rappresentazione angloamericani per affrontare molti dei temi che DDLJ ha contribuito a narrativizzare, il cinema indiano si evolve e (come abbiamo visto con il recente successo di RRR) rifiuta di farsi fagocitare dalle regole di un mercato globale, aspirando a innovare tecnicamente ma conservando il proprio stile di storytelling. Questo stile così peculiare e caratterizzante, che ha influenzato massivamente il cinema d’azione di Hong Kong ma anche registi Hollywoodiani come Baz Luhrmann, è anche una forma importantissima di soft power in termini di rappresentazione positiva - fondamentale in uno scenario cui fino a poco tempo fa il tipico personaggio indiano nell’intrattenimento statunitense era Apu dei Simpson. Mentre gli Stati Uniti aspirano ancora a dominare almeno nel settore dei blockbuster i mercati cinematografici emergenti (tra cui quello degli Emirati, su cui Bollywood punta già da tempo sia come bacino di pubblico che come luogo di produzione), il cinema indiano ha per la prima volta la possibilità di conquistare anche mercati al di fuori della diaspora, grazie alla rivoluzione creata dalla disponibilità di film e serie tv sulle piattaforme.
Uno scontro culturale e industriale assolutamente inedito rispetto al passato e per questo estremamente interessante, che è anche un’occasione incredibile per noi spettatori di esplorare un universo cinematografico sfaccettato e ricchissimo, che contribuisce, in modi impossibili da capire senza conoscerlo almeno un po’, sempre di più all’evoluzione anche del fare cinema statunitense, che ne insegue codici e “segreti” proprio per conquistare quei pubblici fuori dagli USA che consumano prodotti audiovisivi indiani da ben prima che approdassero su Netflix o Prime Video.